I vostri figli non sono figli vostri… sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.

Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.

Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.

Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.

L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.

Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.

(Kahlil Gibran)

Nella società patriarcale, il ruolo di una madre e il ruolo di un padre erano spesso stereotipati e legati a compiti specifici: la donna era la responsabile del focolaio domestico e dell’educazione dei figli, l’uomo rappresentava spesso l’autorità e le regole morali da rispettare. La società rispecchiava dei valori legati alla tradizione culturale di riferimento come la spiritualità, il lavoro, la casa. La famiglia era di tipo allargato e spesso i nonni si ritrovavano a convivere con i  loro nipoti. Le regole erano molto severe e non era possibile discutere i castighi. Nel passato la società era più uniforme e meno differenziata, i percorsi verso l’età adulta erano prefissati e rigidi, le tappe da seguire chiare, gli effetti prevedibili. La società autoritaria non lasciava troppo tempo ai giovani per cercare la loro identità, perché era già ampiamente noto a loro cosa avrebbero dovuto diventate e chi sarebbero dovuti essere.

L’adolescente oggi.

Ai giorni d’oggi, entrano sulla scena nuove tipologie famigliari che, se da un lato allargano le possibilità, dall’altro è sempre meno chiaro ad un adolescente che cosa dovrà fare e chi dovrà essere: le strade sono molte, gli esiti incerti. Ecco quindi le famiglie omosessuali, le famiglie con un figlio unico, le coppie che non riescono ad avere figli, le adozioni e gli affidi, le donne in carriera e i nuovi padri che si apprestano alla crescita dei figli. Sulla scena famigliare appaiono gli step parents, i nuovi compagni di genitori separati che hanno a che fare con i figli del partner.

L’adolescente mette in scena il proprio temporaneo copione, sperimenta diversi look per registrare gli effetti che fanno, cerca di definire la propria incertissima identità non più forgiata da modelli educativi forti. Le regole sono flessibili, negoziate e contrattate (orari, collaborazioni domestiche, esecuzione dei compiti), gli adulti minacciano qualche vaga sanzione in caso di trasgressione. Oggi i ruoli sono molto più sfumati e in continua evoluzione. Questo vale sia per i ruoli genitoriali che sono meno stereotipati, sia per i ragazzi che crescono: possono essere chi vogliono, ma i modelli di riferimento a cui possono ispirarsi stanno entrando in crisi. I giovani sono lasciati liberi di interpretare il proprio piano di sviluppo e sono istigati dagli adulti a essere veramente sé stessi, a non perdersi altrove.

Se in passato l’obiettivo educativo era quello di insegnare il bene con una lode e il male con una punizione, oggi sembra che le proposte educative vadano nella direzione di comprendere, sostenere, facilitare il percorso di crescita e lasciare loro liberi di essere e diventare ciò che vogliono.

Quali alternative possiamo trovare a queste due polarità rappresentate da un lato dalla società patriarcale e dall’altra dalla società moderna? Che immagini abbiamo dell’adolescenza?

Spesso l’adolescenza è connotata come l’età del rischio e della ribellione. Le parole comuni che sono spesso associate a questo periodo di vita sono, ad esempio: trasgressione, disordine, crisi, disubbidienza, malattia, fragilità, incomprensione. Gustavo Pietropolli Charmet descrive l’adolescente come “fragile e spavaldo”: è fragile perché ha bisogno di continui sguardi che gli dicano quanto sia importante, vuole essere apprezzato, valorizzato, ammirato ed ha bisogno di concrete verifiche della sua esistenza. Spesso se non riesce ad essere all’altezza delle proprie aspettative, la vergogna del proprio fallimento prende il sopravvento; è spavaldo perché, che si tratti di un genitore, di un insegnante, di un poliziotto, di un educatore o di un allenatore, il fatto che indossi quel ruolo o eserciti quel mestiere non gli regala alcuna importanza agli occhi dell’adolescente.

Come possiamo anche immaginare l’età dell’adolescenza? Forse potrebbe essere vista come l’età delle prime esperienze e delle sperimentazioni, del cambiamento, della ricerca, delle opportunità, della conoscenza. Alessandro D’Avenia ha parlato dell’adolescenza come un’età laboratorio.

Ma come i genitori possono talvolta affrontare questo periodo della vita dei propri figli??

Ecco di seguito il breve racconto di una coppia di genitori alla prese con i figli adolescenti:

Escono la sera, anche d’inverno, col freddo, si muovono lungo i muri delle case. Entrano affiancati in un portone poco illuminato e si avviano verso un’aula disadorna, dove siedono altre persone simili a loro. Sono una coppia di mezz’età: lei è una bionda avvenente, lui un uomo dal tratto virile. Eppure sembrano vinti. Hanno un figlio adolescente ed escono la sera per parlare, con altri, proprio di lui. Non lo capiscono, temono di ferirlo, che altri lo feriscano, che la scuola lo umili. Che lui stesso sia fragile, triste, debole, annoiato. Tornano dalla serata sollevati e abbattuti a un tempo. Non si sentono all’altezza. «Saremo in grado?», si chiedono, «Ce la farà?». Potrebbero ridere, litigare, fare l’amore, bere, andare al cinema o dormire cogliendo l’occasione per pensare ai fatti propri. Ma non se la sentono. Il loro è un impegno full time. Così ritornano a casa incerti, forse colpevoli, certamente confusi. Il figlio li fa stare con il fiato sospeso, loro gli levano il fiato.” –

Dai racconti dei genitori di adolescenti, spesso traspare che mentre è più chiaro e più semplice come mettersi in relazione con i propri figli quando sono piccoli, soddisfando ad esempio i loro bisogni legati perlopiù al nutrimento e al gioco, durante l’adolescenza spesso i genitori non sanno più che cosa si debba fare con i propri figli, sentono di avere perso un ruolo, si sentono esclusi dalla vita dei figli, si sentono incapaci oppure non possono considerare che l’adolescente è qualcosa di diverso da loro che lo hanno cresciuto fino a qua. I genitori sono sopraffatti dalle ansie, passano notti insonni, annullano le vacanze all’ultimo momento, in casa ci sono continue tensioni per i ritardi e per tutte le telefonate che non hanno fatto o a cui non hanno risposto. Il corpo, la stanza e il gruppo di amici diventano le principali aree di scontro. I genitori possono essere preoccupati delle nuove esperienze dei loro figli “ho appena letto nel diario segreto di mia figlia che gli piace un ragazzo… non sono cose che può pensare alla sua età.. ha appena iniziato le superiori.. è ancora la mia bambina..”, oppure si possono sentire inadeguati e non all’altezza “mi sento una schifezza… gli altri genitori sembrano capire sempre tutto dei loro figli… perché io no?”, oppure possono essere oberati dalla quotidianità e non avere tempo per stare con i loro figli e conoscerli davvero “non mi interessa quello che fanno i 15enni… ci sono cose ben più importanti”.

Come possiamo immaginare il ruolo di un genitore nell’adolescenza, al di là della polarità limiti e regole vs. assoluta libertà?

Un genitore, scrive Alberto Pellai, è come “un allenatore, competente e autorevole, in grado di bloccare i colpi maldestri per reindirizzarli verso obiettivi più adeguati; soprattutto insegna strategie di attacco più elaborate e articolate in una raffica di colpi menati in aria senza nemmeno capire cosa stia succedendo davvero”. Massimo Recalcati scrive: “un buon genitore è anche colui che sa chiudere gli occhi. Che sa sottrarsi, retrocedere e andare sullo sfondo. Gli deve garantire la presenza: non sei solo; la possibilità della risposta: io ascolto la tua domanda. Ma è anche in grado di lasciare i propri figli, di saperli perdere, di saper rinunciare alla proprietà del figlio pur avendoli desiderati infinitamente. Essere genitore è anche responsabilità senza proprietà”.

Come fare?

  • Conoscere il mondo in cui vivono i nostri figli
  • Genitore come studioso attento dell’indole del figlio
  • Genitore come colui che prova ad aiutare il figlio a scrivere il suo romanzo: un’autobiografia personalissima, scritta a più mani, con l’aiuto degli adulti di famiglia
  • I figli sono diventati più interessanti, hanno portato a casa tanti discorsi, nuovi amici, nuovi stimoli: non possono bastare solo i genitori per poter soddisfare tutti i loro bisogni
  • Dare una mano e segnare il limite

AUTRICE

FRANCESCA CARINI
FRANCESCA CARINIPsicologa, Psicoterapeuta, Professionista EMDR
  • Psicoterapeuta Costruttivista Ermeneutica specializzata presso il CESIPc di Padova, 2018
  • Professionista EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) primo e secondo livello, 2017
  • Laurea magistrale in Psicologia Clinica, 2012
  • Laurea triennale in Scienze Psicologiche, Cognitive e Psicobiologiche, 2010
  • Professore a Contratto di Psicologia Generale, Università degli Studi dell’Insubria di Varese
  • Consulente Amico Fragile Onlus assistenza psicologica per la tutela della donna vittima di violenza
  • Psicologa e Psicoterapeuta presso il reparto di Ginecologia dell’Ospedale del Ponte di Varese

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